Gonçal Mayos PUBLICATIONS

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Jan 4, 2016

MACROFILOSOFIA DELLA GLOBALIZZAZIONE E DEL PENSIERO UNICO


 
«Pericolo della nostra cultura: apparteniamo ad un tempo la cui cultura è in pericolo di affondare a causa dei (propri) mezzi di cultura» F. Nietzsche, Umano troppo umano. 

Gli attentati alle Torri Gemelle di New York dell’undici settembre duemilauno segnano un cambio epocale: significano la fine di una «sbornia» postmoderna e dell’idea ingenua della «fine della storia» di Fukuyama (1992); il dibattito internazionale viene occupato dalle questioni della globalizzazione, del «Pensiero Unico» (Ignacio Ramonet nel 1995 in un famoso editoriale di Le Monde Diplomatique), e dello scontro di civiltà di Huntington (2005) e, poco dopo, dalla crisi ipotecaria e finanziaria. 

Dello schema mentale della Guerra Fredda prima e della postmodernità poi, sopravvive ai giorni nostri un unico consenso chiaro, quello della «globalizzazione» e dell’egemonia dei «mercati globali». Un consenso che si impone ai moderni Stati-Nazione, alle gerarchie economico-tecnologiche internazionali, fino ad ora inespugnabili, ai debiti «sovrani», al welfare state che tanto è costato creare e, in modo particolare, si impone alle stesse culture, alle aspettative di individui e popolazioni intere. Come spiega Edward Luttwak (2000), la globalizzazione comporta nuovi vincitori e nuovi vinti, fino al punto in cui, oggi, sembra essersi imposta alla stregua del «giudizio universale» della storia (il «Weltgericht» di cui scrivevano Schiller o Hegel) che tutto governa. 

Possiamo definire la «globalizzazione» come un processo complesso di lunga durata che evidenzia gli aspetti comunicativi e di interdipendenza in tutto il pianeta. Nel mondo francofono si usa abitualmente il termine «mondializzazione», noi preferiamo usare la parola di origine anglosassone «globalizzazione» e consideriamo i due termini come sinonimi. Trovandoci davanti a ciò che di più simile può esserci ad un totale e totalizzante «giudizio universale», ci sembra controproducente distinguere —come pretendono alcuni— tra una «mondializzazione» nel senso economico, geografico e tecnologico, ed una «globalizzazione» culturale e unificatrice (di cui l’estremo ultimo sarebbe il PU).




La condizione che definisce l’attuale società postindustriale e «della conoscenza» è il legame, quasi inseparabile, tra conoscenza e tecnologia, cultura ed economia, geopolitica e geoeconomia (Luttwak 2000), mentre la globalizzazione tende a rendere sovrano un unico sistema «possibile» che include: economia, tecnologia, politica, mass media, Internet, e un «Pensiero Unico» di portata mondiale e che definisce l’unica «cosmovisione» e «cultura» oggi possibile.

L’apparizione cosciente, ed evidente per tutti, di quel nuovo oggetto che è la Terra nel suo insieme, comporta profondi cambi mentali. Il peggiore di questi è forse il PU che, in ultima istanza, tende a trattare in modo riduttivo il nostro pianeta alla stregua di ciò che Heidegger definiva un mero oggetto «a portata di mano», cioè come un oggetto che può essere posseduto tecnologicamente e dominato strumentalmente per il gioco economico dei «mercati».

Così il PU pretende ridicolizzare la tradizionale tendenza umana, a riverire la natura come sacra «madre» comune dell’umanità e delle creature viventi in generale come una semplice mitologia senza senso. Sostituendosi a tutte le «mitologie» precedenti impone una nuova egemonia culturale che, al contrario, dispensa l’umanità dall’assumersi coscientemente la sua nuova responsabilità rispetto alla natura, il pianeta, e la vita che contiene.

Impedisce inoltre di affrontarei modo solidale i pericolosi rischi globali (Ulrich Beck 1994) di cui noi stessi siamo la causa principale.


SIAMO GLOBALI?

Anche se mai con l’intensità contemporanea, per molti aspetti la globalizzazione ha un’origine ed una genealogia molto remota che bisogna tenere in considerazione per poterla analizzare. La globalizzazione si manifesta oggi, però, in una varietà di aspetti che non procedono allo stesso ritmo. La globalizzazione economica e —specialmente— quella finanziaria e tecnologica (in particolar modo le T.I.C.) superano in qualità e quantità, ad esempio, la globalizzazione dei diritti e quella legata ad i rischi epidemiologici ed ambientali.


Un chiaro esempio dei rischi della globalizzazione per la salute è esemplificato dalla rapida espansione del virus dell’HIV in tutto il mondo. Ma ci sono antecedenti storici, come la famosa «peste nera» nella metà del XIV secolo. L’estensione dell’AIDS e della «peste nera» sono stati possibili solo grazie ai crescenti processi di globalizzazione. Nel XIV secolo la peste fu trasportata dai primi vascelli (più precisamente dai ratti trasportati) che in modo più o meno diretto collegavano i porti mediterranei (Venezia, Genova, Barcellona, Valencia, etc.) con quelli dell’Estremo Oriente (dove il morbo apparve per la prima volta). Non deve sorprendere quindi che, attualmente, l’AIDS «viaggi» sia in prima classe negli aerei che nelle peggiori condizioni dell’immigrazione illegale.
 
Pur delineandosi all’orizzonte un pericoloso PU, la globalizzazione è più debole negli aspetti cognitivi, culturali e civilizzatori, e pure è molto limitata per ciò che riguarda la mobilità dei lavoratori, la vita sociale e politica, i diritti civili e la qualità della vita.

In generale, nessuno dubita ormai dell’onnipresente imposizione di uno stesso modello economico e tecnologico; ciò nonostante si lamenta una carenza di globalizzazione nella conoscenza umana o si teme la crescente uniformità globale di culture e civiltà. Più ambivalente è la reazione rispetto alla circolazione dei lavoratori e ai rischi ambientali, pur senza metterne in discussione l’impatto nella crescente globalizzazione. Allo stesso tempo si è enormemente esteso l’ideale utopico della necessaria convergenza globale sui temi essenziali della convivenza sociale, politica, dei diritti umani e della qualità di vita.

Vi è quindi una grande diversità di ritmi e di effetti in seno alla globalizzazione, e le reazioni provocate da ognuna di questi aspetti è solitamente molto differente. Proprio perché lo sviluppo raggiunto in ognuno delle sue sfaccettature è incomparabile con quello delle altre, dobbiamo specificare e puntualizzare in ogni caso a quale di queste facciamo riferimento.

 
Praticamente nessuno sembra contrario alla qualità della vita (sanità, scolarizzazione, diritti civili, ecc.) raggiunta dai Paesi più avanzati, né che questa si estenda ai Paesi più poveri. Ora, dato che questa globalizzazione è molto più arretrata rispetto a quella finanziaria, economica, tecnologica e dei rischi epidemici ed ambientali, la si dimentica costantemente, facendo risaltare invece altri aspetti negativi o pericolosi della globalizzazione.

Per questo, i nuovi movimenti sociali, critici su questi aspetti (nonostante ne difendano altri appena citati) sono denominati semplicemente come «alternativi» e «no-global». È facile capirne i motivi: gli effetti negativi della globalizzazione sembrano aver superato quelli positivi (che pure sono molto importanti) essendo oltretutto più visibili agli occhi della popolazione.

Come ha ben compreso Zygmunt Bauman (2003, p. 81), dobbiamo parlare di globalizzazione riferendoci «principalmente, agli effetti globali chiaramente indesiderati e imprevisti». Si tende a vedere la globalizzazione come un destino che ci è «caduto» addosso e del quale dobbiamo farci carico contro la nostra volontà, e non come il risultato della nostra azione collettiva nel mondo. Certamente la globalizzazione ci spaventa e ci disorienta perché —pur avendola costruita collettivamente— ancora «non abbiamo, né sappiamo con certezza assoluta come ottenere i mezzi per pianificare e realizzare azioni di portata globale» (Bauman, 2003, p. 81).

Stiamo assistendo ad una progressiva turbo globalizzazione ed al pericolo di un pensiero unico sempre più pregnante. Tutto è diventato “globale”, ma siamo sicuri che riguardi indistintamente i vari aspetti della vita? Senza dubbio interessa la crisi economica e le bolle speculative, il rischio e la tecnologia, la cultura e la “società dello spettacolo”, la geopolitica e la governabilità, l'instabilità ed i rapidi cambiamenti, le migrazioni e la delocalizzazione industriale, il terrorismo e la “guerra asimmetrica”... Purtroppo non riguarda: i diritti (nonostante si chiamino “umani”), la qualità della vita, la cittadinanza, lo stato sociale, la libertà politica...

Così inizia il libro Macrofilosofia della Globalizzazione e del pensiero unico, che  fornisce gli strumenti per comprendere e per poter gestire il nostro angosciante presente. Dobbiamo superare il conformismo lo scoramento postmoderno, le vecchie ideologie  ed il disorientamento causato dalla spettacolarizzazione degli avvenimenti e dagli approcci settoriali, ultraspecializzati e acritici.
Con uno stile chiaro, rigoroso e interdisciplinare, Gonçal Mayos analizza la complessità delle società moderne per farci riappropriare del nostro presente e per ricostruire una genealogia moderno-occidentale, evitando di “vederla” come l'unica possibile. Solo attraverso la  consapevolezza delle sue cause e dei suoi effetti, potremo reindirizzare in modo più giusto e solidale il disumano capitalismo neoliberista e turboglobalizzato.
 
Macrofilosofia della Globalizzazione e del pensiero unico di Gonçal Mayos è un testo sintetico che, tuttavia, vuole essere in primo luogo un mezzo per una presa di coscienza e di comprensione critica di un mondo che ci viene “venduto” come privo di alternative, e a volte addirittura “senza futuro”.

Vedi post: TURBO GLOBALIZZAZIONE E PENSIERO UNICO.

 

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